Cos’è il reverse ageism, la discriminazione sul lavoro basata sull’età

Evelyn Novello

Nata a Milano nel 1995 e laureata in Comunicazione pubblica e d'impresa. Nel 2016 mi sono avvicinata al mondo del giornalismo e da quel momento non più smesso di scrivere.

Tag: donne
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Ti sarà capitato nelle tue prime esperienze lavorative di sentirti inadeguata, quasi “presa poco sul serio” dai colleghi o dal tuo capo perché ancora alle prime armi.

Ecco, questa sensazione è comune a tantissimi giovani ed è frutto di una serie di discriminazioni raccolte nel nome reverse ageism, i pregiudizi basati sull’età presenti soprattutto nel mondo lavorativo.

Reverse ageism: cos’è?

Tensioni e incomprensioni che portano il giovane a provare frustrazione e mancanza di entusiasmo nella professione a cui si sta approcciando. Uno dei tanti ostacoli che deve superare un ragazzo, o peggio ancora, una ragazza, quando si interfaccia col mondo del lavoro riguarda proprio il suo essere giovane e inesperto.

Frutto di pregiudizi e di falsi miti per cui la diversità è solo nociva, il reverse ageism sta a indicare proprio la discriminazione di persone in base alla loro età. Il termine “ageismo” è stato utilizzato per la prima volta dal gerontologo Robert N. Butler in un articolo del 1969 pubblicato sulla rivista medica The Gerontologist, per descrivere la discriminazione subita dalle persone più anziane ed è stato proprio lui a teorizzare la questa denigrazione equiparandola ad altre già conosciute basate sul genere o sull’etnia.

Gli anziani sono oggetto di diverse discriminazioni come quelle in campo medico o nella cultura dei mass media, fino all’ambito lavorativo in cui l’anziano è considerato ormai improduttivo se non un ostacolo alla modernizzazione. E proprio il lavoro è il campo in cui le ingiustizie basate sull’età si verificano con maggiore frequenza. L’US Equal Opportunity Commission ha evidenziato come quasi un quarto di tutti i reclami presentati dai lavoratori è legato alla discriminazione basata sull’età e l’AARP, l’Associazione americana dei pensionati, riferisce che il 65% dei lavoratori dichiara di aver sperimentato questa discriminazione, il 58% dei quali a partire dai 50 anni.

Se il termine “ageismo” indicava la serie di pregiudizi legati all’età matura, col tempo questo è arrivato a indicare qualsiasi atteggiamento discriminatorio basato su qualsiasi età. Se i più adulti hanno problemi a ottenere promozioni o a trovare un nuovo lavoro, i giovani sono alle prese con la fatidica mancanza di esperienza che li penalizza anche solo nell’accedere al mercato del lavoro appena terminati gli studi. Il termine più indicato in questo caso è reverse ageism o “ageismo inverso”, quindi quando oggetto della discriminazione sono ragazzi o ragazze.

E come si manifesta? Alcuni esempi sono la mancata attenzione verso i colleghi più giovani, il non coinvolgerli nelle decisioni, il non affidar loro compiti di responsabilità o di reale importanza, fino a veri e propri atteggiamenti discriminatori che vanno a screditare la persona.

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Alcune leggi vietano comportamenti che penalizzano i lavoratori di un’età matura ma la stessa tutela non esiste per i giovani.

Eppure alcuni dati confermano la vastità del fenomeno. Glassdoor, sito internet nel quale impiegati ed ex impiegati recensiscono anonimamente le aziende e i loro superiori, ha rilasciato un sondaggio riferito all’anno 2019 sulla diversità e l’inclusione nel quale si evidenzia che negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia e in Germania i dipendenti di età compresa tra i 18 e i 34 anni hanno più probabilità dei dipendenti over 55 di aver assistito o sperimentato l’ageismo sul lavoro.

Le percentuali sono il 52% contro il 39%. Come al solito, poi, gli atteggiamenti discriminatori aumentano se sei donna. In questo caso si uniscono due stereotipi che contribuiscono a identificare una ragazza come inesperta e poco credibile sia in quanto giovane che in quanto donna. Anche in questo caso i dati ce lo confermano: Almalaurea nel 2019 ha rilevato come le donne laureate, oltre ad essere la maggioranza, hanno anche una media di votazioni pari a 101,1 contro il 98,6 dei loro colleghi maschi ma ciò non si traduce in maggiori tassi di occupazione o nel raggiungimento di ruoli dirigenziali.

Il tasso di occupazione femminile è pari al 48,4% contro al 67,6% di quello degli uomini.

Come superare quindi il reverse ageism? La soluzione più efficace presupporrebbe che i soggetti del mondo lavorativo adottassero politiche aziendali tese a valorizzare la competenza e la meritocrazia come unici criteri di scelta o di avanzamento di carriera. I programmi promossi devono essere basati sulla trasparenza e su una comunicazione chiara, le politiche aziendali devono privilegiare l’uguaglianza, l’equità, l’integrazione e la collaborazione tra membri.

Anche il singolo però può fare la differenza. Se si notano comportamenti discriminatori parlarne col responsabile, e poi in separata sede col diretto interessato, può evitare che la situazione degeneri. Allo stesso modo cercare di vedere i più giovani come risorse cercando di coinvolgerli e di formarli è fondamentale per dar loro la giusta motivazione. Il futuro di un Paese e della sua economia dipendono in particolar modo dalle nuove generazioni.

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