Poetry, un film per pensare e guardare meglio il mondo

Poetry, il film sudcoreano sulla poesia e la vecchiaia. Leggi la recensione su Blogosfere Spettacoli

Nelle sale cinematografiche ogni tanto capita qualcosa di diverso che non siano i soliti film americani (blockbuster o film d’autore non importa) o le solite commedie italiane. Ogni tanto davvero si può vedere del cinema proveniente anche da altri Paesi.

Poetry è una di queste rare occasioni: trattasi di un film sudcoreano diretto daLee Chang-dong, in competizione più volte nei maggiori festival cinematografici (ad esempio a Cannes vinse il premio per la migliore sceneggiatura con il film in questione) e ministro della Cultura per un anno, in Sud Corea. Un artista dal curriculum piuttosto imponente, insomma.

L’ultima opera del regista coreano parla allora di poesia, come si può evincere dal titolo, ma anche di vecchiaia, di appressamento alla morte e di responsabilità, e dei valori sui quali si è costruita la propria esistenza. La protagonista, la signora Mija, vive da sola accudendo il nipote e dilettandosi in un corso per aspiranti scrittori di poesie. Gli eventi la porteranno a scoprire il coinvolgimento del ragazzo, apatico e indifferente a tutto, nel suicidio di una studentessa, molestata a lungo da un branco di idioti, nonché alle richieste di aiuto (piuttosto intimo, invero) di un disabile che accudisce per racimolare qualche soldo. A questo punto per Mija, alla quale è stato diagnosticato il morbo di Alzheimer, si apriranno diversi interrogativi: come rimediare al male compiuto dal ragazzo? Allinearsi ai genitori degli altri colpevoli, che vorrebbero mettere a tacere tutto elargendo grosse somme di denaro? E quale responsabilità attribuire a se stessa, che non ha saputo educare il nipote a quella stessa ricerca di bellezza che ora Mija va cercando in ogni luogo per costruire la sua prima poesia? Su quali e quanti eventi si può influire con le proprie azioni?

Il film ha un ritmo dilatato, per quanto non sia privo di eventi: in realtà segue semplicemente l’andamento compassato e monotono della vita di una persona anziana, che non ha fretta di andare in un luogo specifico e che può prendere la vita con calma, allo scopo di assaporarla con pienezza.

La fotografia contribuisce poi a creare questa sensazione di stasi, ricercando spesso la luce netta del mezzogiorno, ma con un risultato che è scevro da qualsiasi tentazione di estetizzazione, preferendo piuttosto un realismo monotono e quotidiano (la poesia quindi non è affatto ritratta alla maniera dell’Amelie di Jeunet, per intenderci).

Si respira un’aria di rassegnata accettazione del dolore come costante ineliminabile della vita umana, cui si può porre rimedio solo attraverso un’attenzione alle cose del mondo: lo stesso sguardo che il regista adotta come prospettiva interna al film, in cui ci si sofferma su dettagli apparentemente insignificanti, ma che in realtà nascondono in sé un senso profondo e insieme superficiale. La necessità di ascoltare le risonanze di questo senso, allora, è il tema della poesia che alla fine Mija riuscirà a produrre, dopo aver deciso di fare ciò che è giusto per la crescita e la maturazione di suo nipote.

Scritto da Style24.it Unit

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