Sono anni che Max Dmitrieff, cantautore e compositore russo, vive e lavora in Italia, dopo lo split dei Katherine’s Favorites.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui sul suo primo album/ep da solista, “A man out of age”, che esce proprio oggi.
Sei soddisfatto della tua attività come solista, dopo aver per tanti anni fatto parte di una band?
Per anni abbiamo riempito gli stati, ci hanno passati in radio e in tv, e abbiamo pubblicato dischi. Ma poi il mercato musicale è cambiato in Russia: chi cantava in inglese, come facevamo noi, si è trovato le porte chiuse.
Se mi è dispiaciuto? No: quando sei un artista non ha importanza dove vivi. La cosa primicpale è non perdere il contatto con la musica, devi provare a fotografare il momento che attrae la tua attenzione e trasformarlo in musica. Non mi pesa stare lontano dal ‘mio Paese’, perchè è soltanto il posto in cui sono nato. Non appartengo a nessun posto nel mondo e da questo punto di vista sono libero.
Com’è stato lavorare nel nostro Paese, e nello specifico, a Torino?
Posso parlarti delle persone con cui ho lavorato qui: prima di tutto ai Punto Rec Studios di Torino c’è uno staff davvero molto professionale.
Sono stato contento di aver collaborato con il direttore d’orchestra, arrangiatore e compositore Danilo Ballo (forse lo conosci perchè ha composto “Opera Seconda” dei Pooh) e Fabio Gurian (direttore d’orchestra al Festival di Sanremo). Ho conosciuto anche la Labirinto Strings Orchestra, che ha preso parte al mio progetto.
Com’è stato invece lavorare con Jivan Gasparyan sull’ep?
Suonare con un uomo di 84 anni è stato molto utile, specialmente se questa persona ha lavorato con persone del calibro di Peter Gabriel, Bryan May, Hans Zimmerman, Bryan Eno, Annie Lennox, e ha preso took Grammys e Golden Globes.
Jivan è una persona vera: mi aspettavo le ‘lacrime’ dal duduk (lo strumento musicale tradizionale armeno che Gasparyan suona da sempre ndr) e le ho avute. E’ un grande ed è una persona molto semplice: il nostro duetto e uno dei punti più alti della mia carriera musicale al momento. La musica non ha confini, limiti o età.
Ovviamente conosci molto bene il background culturale russo: cosa ne pensi della vicenda delle Pussy Riot?
Avevo già lasciato la Russia quando è successo il fatto.
Cosa penso di loro come musicista? Beh, non c’è nulla da dire: non sono musiciste, per cui non è utile parlare del valore delle loro, chiamiamole così, canzoni. Se invece parliamo dell’aspetto politico della questione: un sacco di gente pensa che non è stato l’atto “Dio, rimpiazza Putin!” ad aver fatto così tanto rumore – nulla è eterno nel mondo e Putin sarà rimpiazzato da qualche altro politico un giorno, è normale -. Un sacco di gente vorrebbe vedere un altro leader del Paese al posto di Putin.
Per cui l’atto delle Pussy Riot non è stato un crimine, ma una cosa normale per una società democratica. E questo processo va avanti molto lentamente, ed è difficoltoso, nella Russia di oggi, perchè la gente impari a dire quello che loro vogliono che dica. Da una parte o dall’altra, i politici russi sognano di restare in alto per sempre, che non cambino mai. Non è possibile. Di sicuro c’è molta politica in questo atto: anche se definiamo le Pussy Riot ‘hooligans’, come prevede la legge russa, dovrebbero pagare una multa, nulla di più.
Ma com’è la Russia oggi, dal punto di vista socio-culturale?
Da quando ho lasciato la Russia quattro anni fa non seguò più le notizie che arrivano da lì. Leggo solo quello che raccontano i miei amici volta per volta. Sono totalmente assorbito dal mio nuovo disco, e dalla mia nuova vita.