Luciano, “Codice etico per lo storico”: traduzione ragionata

In questi giorni sto tornando giovine. Dopo aver svolto il tema di ieri – i professori mi hanno anticipato che si prospetta un 3/4, e non è male – oggi mi dedicherò alla versione di greco. Come ben saprete al classico è uscito Luciano che, diciamocelo, non è certo un autore difficile da tradurre. Eh, vabbè, parlo io che in greco, ai tempi del liceo, stentavo a raggiungere la sufficienza nello scritto. Già, proprio per questo posso dirlo, perchè a dodici anni dall'esame di maturità posso finalmente ragionare come un vecchio "che tutto sa per esperienza". Concedetemelo.

Leggete bene la traduzione, poi soffermatevi a riflettere sull'inutilità della cultura in Italia. Il nostro amico Luciano (che non è il Liga, dodicenne rincoglionito, e nemmeno Pavarotti, novantacinquenne rincitrullito, detto con tanta tenerezza, sia ben chiaro, parlo del secondo caso umano) nel 150, più o meno, scriveva queste bellissime parole:

Ecco dunque come deve essere secondo me lo storico: impavido, incorruttibile, libero, amico della verità e della parola schietta, uno che-come diceva quel comico-dice pane al pane e vino al vino, uno che mai per amicizia o per odio è indotto a concedere o negare, a commiserare o vergognarsi o disprezzare; giudice equanime, benevolo con tutti mai fino al punto di concedere ad una parte più di quanto mariti, che non ha patria quando scrive nè città, nè sovrano; uno che non sta a chiedersi cosa ne penserà il tale o il tal'altro, ma riferisce quello che è accaduto.

Fu Tucidide a legiferare tutto questo, fu lui che distinse vitù e vizio nella storigrafia, vedendo che Erodoto era ammirato a tal punto che i suoi libri venivano addirittura chiamati muse. Dice infatti di scrivere qualcosa che resti per sempre anzichè per la gara del momento; dice di non apprezzare l'elemento favoloso ma di lasciare ai posteri un veridico racconto di quel che effettivamente accade. E introduce la considerazione dell'utile, di ciò che qualunque uomo da senno può indicare come fine dell'opera storica: che cioè come dice se si ripresenatassero situazioni simili ci si potrà giovare del racconto storico proprio nell'azione contingente.

Bella versione, belle parole. Poi pensi al secolo in cui vivi, pensi al movimento dell'antipolitica, sostituisci "storico" con "politico", e vedi che non abbiamo capito una mazza.

E allora ti chiedi perchè non riusciamo mai a imparare nulla, perchè nonostante esista un'evoluzione all'atto pratico siamo sempre protagonisti di un'involuzione. Ti guardi intorno e capisci che la storia non comunica esperienza, comunica solo pathos. Che a ben pensarci non serve a nulla; se non a sollazzarci. 
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Scritto da Style24.it Unit
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