Lou Reed: a 70 anni parla di YouTube e dei rischi di internet

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La leggenda del rock, in un’intervista a la Repubblica, parla del suo rapporto con giornalisti e media, e dei problemi della modernità: fra gli altri le insidie nascoste in internet e quel rischio di perdere la propria privacy.

Per il settantesimo compleanno di Lou Reed (lo scorso 2 marzo) la Repubblica ha pubblicato un’intervista esclusiva. Non servono cenni biografici per presentarlo, basti dire che si tratta di una delle più grandi leggende del rock.

Quest’estate ho potuto ammirarlo in una data del tour italiano: un settantenne in gran forma, capace di stare sul palco con eleganza, senza strafare, ma ripagando la stima del pubblico. Nella sua intervista parla di tutto, musica, arte, politica, economia, ma a me piacerebbe focalizzare l’attenzione su due punti: giornalismo e media (e si, Lou non si è risparmiato).

La fama di quello che non sopporta i giornalisti nasce molti anni fa, all’epoca degli studi universitari, quando Lou inizia a frequentare il corso di giornalismo, ma “Appena un semestre: e ne ho avuto abbastanza. Ti insegnavano come esporre tutte le informazioni all’inizio dell’articolo. Dicevano: le opinioni tenetele per voi. Mollato subito. Ma non credo che la categoria abbia sentito la mia mancanza”.

A questo si aggiunge l’aneddotica: Lou Reed scrive un articolo per il  Rolling Stone, respinto perché volevano fare qualche correzione: “E io: voi volete fare qualche correzione a me?”.

L’aneddotica, come accade in questi casi, diviene leggenda quando aggiunge: “Dicono che ti correggono la grammatica e tutt’a un tratto suoni come chiunque altro. Quando Andy Warhol fondò Interview le interviste erano tutte piene di “Oh!”, “Uh!”, “Ah!”. Lui voleva che si scrivesse come la gente parla davvero”.

E ancora, a proposito dei media, della tutela della privacy e della pressione che questi fanno:

“Mi devo ricordare di ripulire il mio profilo su Google: in questi giorni scattano le nuove regole della privacy.

Ma non è incredibile? Voglio dire: io sono il primo a passare lì sopra tutto il tempo – ma che diritto hanno di conservare i miei dati? Oppure YouTube: ormai tutto è su YouTube. Interviste di cinquant’anni fa, che avresti voluto bruciare, dove sei al peggio di te: Dio mio! […] Guardate Amy Winehouse: così giovane e perseguitata fino alla morte dalla stampa. Senza scampo. Tutta quella attenzione su di sé. Sei lì che vomiti, e c’è subito una bella foto in rete di te che vomiti.

Buona fortuna”.

Ma tra una riflessione e l’altra, Reed non perde la chiave di volta di un discorso molto più ampio. Alla domanda scontata del giornalista:

“Mai sentito schiacciato dalla celebrità?”

il saggio settantenne risponde:

“Ripeto: la vera pressione la senti in miniera. Avere a che fare con queste stronzate della celebrità non è pressione: è un gioco“.