Il Pantano Teatro Grassi Piccolo Teatro Renato Sarti

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Un processo impietoso a un’umanità in costante equilibrio tra le ragioni di Dio e quelle del Diavolo

Cosa significano i concetti di bene e male? Hanno mai avuto un senso, sopratutto se astratti dal contesto sociale, religioso, civile, antropologico su cui sono stati innestati? Esiste un significato assoluto dei due estremi morali, e ci sono differenze rilevanti tra l’accezione metafisica degli stessi e il caso individuale-personale? Oppure bene e male, considerati in maniera pragmatica, sono solo due termini relativi con cui designare le conseguenze delle azioni degli uomini sullo sfondo di un particolare sistema di valori?

Sono le domande sulle quali è incentrato Il Pantano, scritto da Domenico Puglies e messo in scena da Renato Sarti (anche consulente alla drammaturgia), lo spettacolo con cui il Piccolo Teatro di Milano inaugura il 2014.

Dall’8 al 12 gennaio al Teatro Grassi, la produzione del Teatro della Cooperativa il cui cast è composto da Gianfranco Berardi, Daniele Timpano e Cecilia Vecchio, rappresenta l’opera più recente di Sarti, autore del celeberrimo monologo Mai morti affidato al corpo e alla voce di Bebo Storti, in cui la rievocazione delle innumerevoli malefatte del ventennio fascista rifletteva come un monito una certa deriva violenta, nazionalista, razzista xenofoba di parte del popolo italiano.

Il Pantano porta sul palcoscenico un processo ideale quanto drammaticamente reale, a una donna accusata di accidia: per lungo tempo ricoverata in manicomio, ha assistito al suicidio della figlia senza battere ciglio. In equilibrio tra ricordo e oblio, la coscienza della protagonista è scossa dai due impulsi contrastanti, che però sembrano trascolorare l’uno nell’altro.

A esprimere il verdetto il giudice supremo, Dio, mentre a leggere le motivazioni della sentenza c’è l’Avversario per eccellenza, il Diavolo: i due si scambiano opinioni, litigano, stringono alleanze, sempre senza alcuna pietà per un’imputata – l’umanità intera – che confusa dalla stratificazione dell’esistenza ha iniziato a scorgere un’infinità di sfumature tra l’innocenza e la colpevolezza.