Pregiudizio e sospetto negli USA del post 11 settembre
Il cinema indiano, a differenza di quanto si crede in genere, non è solo Bollywood e i suoi coloratissimi e comico-melodramatici musical di tre ore.
La regista Mira Nair e le sue opere sono infatti un esempio dell’ampio ventaglio cinematografico offerto dal subcontinente: sono suoi infatti i film Moonsoon Wedding (Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia), Salaam Bombay! (una nomination agli Oscar), Mississippi Masala, Il destino nel nome, La fiera delle vanità, che tanti riconoscimenti hanno ricevuto in giro per i festival internazionali.
Dopo aver contribuito all’antologia 11’09’01, in cui affrontava per la prima volta il tema del terrorismo e del sospetto nell’America colpita dall’attacco alle Torri Gemelle, la cineasta ritorna alla problematica ancora attuale con Il fondamentalista riluttante, tratto dall’omonimo romanzo di Moshin Hamid.
Questa volta al centro della storia non c’è un indiano ma un pachistano, Changez Khan (Riz Ahmed), un giovane professore di buona famiglia, subito integratosi dopo il suo sbarco negli USA. Qui intraprende non solo una brillante carriera da analista finanziario di Wall Strett sotto la guida del mentore Jim Cross (Kiefer Sutherland), ma anche una storia d’amore con la bella fotografa Erica (Kate Hudson). Dopo il tragico attentato però ogni cosa cambia, e la tensione e i sospetti spingono il giovane a tornare in patria, dove diventa immediatamente una figura carismatica e rispettata dagli studenti.
Tutto ciò non è che l’antefatto della lunga conversazione che coinvolge il docente e il giornalista americano Bobby Lincoln (Liev Schreiber), arrivato fino a Lahore per intervistarlo riguardo al rapimento di un professore straniero. Il colloquio prosegue in modo affabile, ma la domanda sottesa all’incontro è una sola e terribile: la delusione per il trattamento subito ha davvero portato Changez ad avvicinarsi alle frange fondamentaliste?
Mira Nair ha affermato di aver voluto indagare indagare in questo film “il reciproco sospetto con cui si guardano l’America e il Pakistan (o il mondo musulmano)“, per arrivare a scoprire “rapporti di lealtà più fondamentali del denaro, del potere e perfino dell’amore“.
Quello messo in scena nella pellicola è dunque “un dialogo vero tra identità e percezione, e su questioni relative all’Io diviso nell’era della globalizzazione.”