Due ragazzi e due famiglie: sono davvero quelle sbagliate?
Il tema dello scambio di bambini in culla e quindi dei rispettivi fati è molto antico e fa parte da tempo immemore del folklore europeo.
Che i responsabili fossero fate, elfi, troll o altre creature leggendarie, o che si trattasse di più prosaici malintesi tra infanti dal sangue blu e neonati plebei, ritroviamo questo elemento archetipico in molte narrazioni dell’epoca premoderna, per non parlare poi ovviamente di tutti i twist narrativi di tanta letteratura dei nostri giorni.
Quanto possono essere inutili e perniciose le divisioni arbitrarie che gli uomini creano per preservare il proprio benessere e la propria identità, ignari del destino comune che attende ognuno di noi? È una domanda che in questo caso viene scardinata da un espediente drammaturgico che rimescola i confini e mette in dubbio certezze date per scontate, e che porta a una maggiore comprensione di se stessi e degli altri.
Il figlio dell’altro innesta questo tema su uno degli scandali della nostra contemporaneità, ovvero il conflitto isrealiano – palestinese, un massacro apparentemente infinito che ha mietuto innumerevoli vittime nel corso degli anni senza che alcun problema sia mai stato risolto.
Nel suo film, interpretato tra gli altri dalla magnifica Emmanuelle Devos, la regista Lorraine Lévy immagina che per sbaglio un bambino israeliano venga scambiato con uno palestinese, e che i due crescano nelle famiglie “adottive” senza essere a conoscenza del proprio retaggio culturale.
Solo durante una visita per il servizio di leva israeliano Joseph scopre di non essere il figlio biologico dei suoi genitori: il suo gruppo sanguigno non è infatti compatibile con quello di suo padre e sua madre. Presto il ragazzo fa la conoscenza di Yacine, palestinese dei territori occupati della Cisgiordania, cresciuto nella famiglia che sarebbe dovuta essere la sua.
Mentre i giovani iniziano a comprendere le proprie differenze e le ben più importanti affinità, le due famiglie vengono gettate nello scompiglio, costrette a interrogarsi sulle rispettive identità: se i due padri non riescono a superare l’inimicizia che che divide i loro popoli, tuttavia le madri, prima con esitazione e poi con meraviglia, accoglieranno nella propria casa quel figlio cresciuto dagli “altri”.