La nuova ondata cinematografica romena torna a colpire con un’opera eccellente
Come se ce ne fosse davvero bisogno – in realtà in certi casi non è mai abbastanza – la cinematografia romena ha trovato un altro riconoscimento del suo ottimo stato di salute e dell’eccellenza dei suoi interpreti nella vittoria a Berlino del film di Calin Peter Netzer Il caso Kerenes (titolo italiano eccessivamente burocratico-poliziesco rispetto al più intrigante e metaforico Child’s Pose, denominazione internazionale di Pozitia copilului).
Ancora una volta, come spesso accade con i nomi più famosi della nuova ondata di registi romeni (Cristi Puiu, Cristian Mungiu, Corneliu Porumboiu), all’accurata descrizione della situazione socio-politica della nazione dopo – o durante – la dittatura di Ceauşescu si accompagna una riflessione sulla natura ambigua e tendenzialmente irriducibile a categorie predefinita di una realtà esplorata nelle sue manifestazioni più quotidiane e apparentemente insignificanti.
E proprio da una situazione delle più banali prende avvio il film.
Facciamo immediatamente conoscenza di Cornelia, perfetta rappresentante dell’alta borghesia romena, mentre si sta lamentando con la sorella a causa della mancanza di affetto e dell’ostilità dimostratale da una persona che, si intuisce dalle sue parole, appare essere la più importante della sua vita. Null’altro che una normale lite coniugale: così saremmo inclini a classificare in questo modo la scena, se non fosse che il soggetto per il quale Cornelia si strugge tanto non è il marito, personaggio succube e sottomesso alla matrona, ma il figlio unico Barbu.
La donna, lo capiamo sin dai primi istanti, è una madre castratrice e iperprotettiva, sollecita fino ai limiti della patologia, guidata dal desiderio e dalla necessità di imporre il proprio volere e i propri valori non solo al figlio ma anche al mondo che la circonda. Cornelia per di più dissimula la sua ossessione per il controllo totale dell’esistenza del figlio sotto una maschera di disinteressata e amorevole preoccupazione, un travestimento che le calza a pennello (non è in fin dei conti una persona spregevole).
La sua tranquillità, fatta di impegni culturali di basso livello e di grandi pretese, di feste in grande stile e di manutenzione minuziosa della casa, viene però scossa da una notizia devastante: il figlio ha investito un bambino piccolo in un incidente automobilistico.
Il tragico incidente costituirà l’occasione per riavvicinarsi al figlio, bisognoso come non mai del suo aiuto (o almeno così lei pensa) e per esercitare tutta la propria influenza derivante dal suo status sociale; lo spettatore invece, grazie allo sguardo del regista, potrà osservare la corruzione, o per meglio dire l’ipotetica corruttibilità che vige in Romania, e i danni provocati dal rapporto malato tra genitore e figlio, forse anche simbolo della decadenza sociale e civile in cui è sprofondato il Paese in seguito al crollo di uno stato totalitaristico.
Barbu in effetti, se da un lato pare del tutto incapace di prendere le proprie decisioni anche in un momento critico come quello che sta vivendo, dall’altro respinge con forza, persino con violenza, le premure eccessive e invadenti della madre, consapevole di dovere uscire dal cono d’ombra proiettato dalla figura genitoriale. È uno scontro di volontà lacerante quello tra i due personaggi principali, messo in scena con grande perizia da Netzer, il quale per una maggiore impressione di verosimiglianza si avvale di una camera a spalla nervosa e agitata ma anche di lunghe riprese durante le quali la tensione tra i personaggi, frutto di emozioni irrisolti e di un non-detto pericoloso, si fa quasi insostenibile.
Magistrale la prova degli attori, sopratutto quella dell’incredibile Luminita Gheorghiu (ma sarebbe da citare tutto il cast, nel quale ritroviamo anche il Vlad Ivanov, già apprezzato in 4 mesi 3 settimane e 2 giorni), capace di portare sulle spalle una sequenza difficilissima e di sconvolgente emotività come quella della visita alla famiglia del bambino ucciso: inizialmente come sempre intenzionata a risolvere tutto tramite una generosa elargizione di denaro, a poco a poco il suo proposito cede alla commozione e alla comprensione del dolore altrui, (peraltro la sofferenza di genitori come lei).
I dubbi riguardanti l’effettivo cambiamento dei protagonisti rimangono però sino allo scioglimento finale e oltre, a testimoniare l’impossibilità di afferrare e comprendere tutti i rivoli del reale.
Da citare una colonna sonora che, tra gli altri, si serve di alcuni brani italiani come Senza giacca e cravatta di Nino D’Angelo e la significativa Meravigliosa creatura di Gianna Nannini.