I 2 soliti idioti: trailer e recensione film di Mandelli e Biggio

Esce domani nelle sale italiane l’ultima pellicola del fortunato duo comico italiano

Ci sono tre modi diversi per approcciare I 2 soliti idioti, l’ultimo film della coppia Francesco Mandelli – Fabrizio Biggio nato dalla serie prodotta da Mtv e passata con successo al cinema grazie alla Taodue.

Considerare la pellicola diretta da Enrico Lando un normale prodotto cinematografico, cercando di evidenziarne pregi e difetti; vedere il tutto come un ritratto sociologico dell’Italia di oggi; indulgere nella tentazione interpretativa – simbolica.

Andiamo con ordine. In quanto opera destinata al grande schermo, I 2 soliti idioti fallisce sotto ogni punto di vista. Qualcuno ha osservato come questo seguito rappresenti un grande passo avanti dal punto di vista produttivo rispetto al primo episodio. Rabbrividisco allora nell’immaginare gli esiti del predecessore, perché il film in questione è quanto di più povero, svogliato e infantile si possa immaginare, se si pensa al budget considerevole affidato a chi di dovere.

La storiella della fuga dalla guardia di finanza di Ruggiero e suo figlio Gianluca è un canovaccio esilissimo e insipido, contrappuntato appena da qualche scenetta presa di peso dalla serie di sketch televisivi, durante le quali compaiono gli altri personaggi noti del duo.

Dei due personaggi solo il primo si può dire compiuto, per quanto riguarda caratterizzazione umana e fisica: Ruggero infatti è il classico imprenditore spietato e privo di scrupoli, incurante del prossimo, abbruttito (parola chiave del film) da una maschera mostruosa che impedisce qualsiasi espressione di Mandelli, il cui unico scopo nella vita sembra la difesa del proprio tornaconto e il tormento del figlio; questi è un dotto ricercatore universitario, una figurina sbiadito e inconsistente, la cui unica funzione narrativa è la ricezione su di sé delle sfuriate cariche di improperie del padre (che esibisce un romanesco monotono e privo di fantasia, destinato a stancare dopo poco).

Se è inutile cercare una soddisfazione nella drammaturgia, si penserebbe almeno a una cura e uno studio delle interpretazioni del duo, praticamente unici attori sul set (lasciando perdere Teo Teocoli, imbarazzante nel ritratto di una personaggio ispirato a Monti, e Miriam Giovanelli, bella e forse anche talentuosa, ma sicuramente inutilizzata).

All’interno di una tradizione italiana di attori dalla forte fisicità, dove persino i grandi inquisiti De Sica e Boldi si distinguono per un’onesta inventiva e un sicuro mestiere, la mimica di Biggio e Mandelli si distingue per sciatteria e piattume, se si esclude qualche trovata legata a Ruggiero – la camminata sciancata, gli scatti d’ira che lo bloccano improvvisamente.

Ridicole, sterili, cattive ma senza alcuna convinzione (per puro automatismo, si direbbe): sono gli unici termini che vengono in mente per le battute dei due, che si rifugiano in un repertorio in cui la volgarità sembra essere l’unica arma contemplata. Non aiuta nelle costruzione delle gag una messa in scena insipida, che si “ispira” pesantemente a linguaggi codificati e svuotati di qualunque significato: visivamente, quindi, il film è piatto quanto i personaggi che lo abitano.

Parlare di una qualsivoglia descrizione della realtà, invece, sarebbe elargire un credito che gli sceneggiatori non meritano. Non c’è alcun ritratto dell’esistente, nessuna volontà di inquadrare una situazione politica, sociale, economica, antropologica, umana: Biggio e Mandelli semplicemente osservano i fatti che accadono attorno a loro e ne prendono spunto, mettendoli su carta seguendo il noto principio da ora della ricreazione all’asilo del “facciamo che tu eri…”.

Non c’è ripensamento critico, non c’è una distanza da cui si osservano gli atti dei protagonisti, non c’è neanche partecipazione emotiva (i tentativi in questo senso sono stucchevoli e falsi come banconote da tre euro): c’è solo un immenso turpiloquio che scorre quasi ininterrotto per tutta la durata della pellicola.

E non si tratta di volgarità, perché non c’è un obiettivo contro cui viene scagliato il basso corporeo, l’irriverenza o la semplice inciviltà. Non esiste un lavoro di osservazione, non esistono gag fisiche o persino giochi di parole perché, desolatamente, i due soliti idioti non sono altro che gli araldi del Grande Nulla.

Quell’instancabile vomitare parolacce di Ruggiero non è un simbolo del Male, ché anche il Male ha un proprio fascino perverso, una sua logica, delle ragioni più o meno fondate. È piuttosto l’incarnazione verbale del disperato e quasi incosapevole tentativo di esorcizzare il grigiume esistenziale in cui sprofondano le esistenze quando si arrendono al Nulla e tutto viene dato per scontato: è il colpo d’occhio con cui si abbraccia un panorama all’interno del quale ombre e luci sono sostituite da una poltiglia che appiattisce qualunque contrasto rendendo ogni cosa una massa informe e incolore.

I due soliti idioti non rappresentano, non fotografano, non riflettono un bel niente: in una sorta di paradosso filosofico inesplicabile, che va accettato e compreso intuitivamente, essi sono il nulla.

E allora non possiamo che applaudire i due ragazzi, che con arroganza in conferenza stampa ribadiscono più volte che “sì, il nostro è un film di merda”, così come il produttore Pietro Valsecchi, che ha il coraggio di esclamare in altra sede: Pensatela come volete… a voi il giudizio, a noi gli incassi”. 

Bravi voi, danarosi e di successo.

E fesso io, che perdo tempo a scrivere del Nulla.

LINK UTILI 

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Scritto da Style24.it Unit

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