Federalismo indietro tutta: Monti piccona le Regioni

Il governo firma un disegno di legge per smantellare il federalismo pasticciato e sprecone partorito dalla Seconda Repubblica: storia di un bluff politico e mediatico sul quale nessuno è esente da colpe

È di stamattina l’agenzia dell’ Ansa che informa dell’approvazione, in consiglio dei Ministri, del disegno di legge costituzionale per la riforma del Titolo V della Costituzione, ovvero del federalismo all’italiana introdotto in fretta e furia nel 2001, a fine legislatura, da un centro-sinistra terrorizzato dalla concorrenza politica della Lega Nord.

È una storia interessante da raccontare, quella dell’infatuazione del sistema politico e mediatico per la riforma federale, spacciata negli anni della Seconda Repubblica – con un unanimismo e una sciatteria impressionanti – come la panacea di tutti i mali italici. Eppure non era difficile immaginare che in un Paese come il nostro, con un livello di corruzione tra i più alti del mondo e un malgoverno endemico e generalizzato, moltiplicare i centri di potere e di spesa avrebbe significato quasi necessariamente favorire il dilagare di scandali e sprechi. Non a caso, negli ultimi dieci anni le Regioni hanno fatto registrare un aumento della spesa pubblica di quasi cento miliardi. In cambio, non si capisce bene cosa ci abbiano guadagnato i cittadini.

Eppure fino a poco tempo fa era impossibile trovare qualcuno che ponesse in discussione il dogma federalista, imposto nel dibattito pubblico da un perito elettronico diplomato alla Scuola Radio Elettra, che vaneggiava di autonomia e Padania tra battutacce sessiste su virilità e attributi maschili e insulti xenofobi rivolti agli odiati “terroni”.

Ma sulla stampa italiana, esperti, professori ed editorialisti vari ci spiegavano l’urgenza della riforma federale con toni ultimativi, confermando l’incrollabile vocazione della nostra classe intellettuale alla corsa per salire sul carro dei vincitori. Nel frattempo la sinistra si autocondannava alla marginalità e alla subalternità, accettando di farsi dettare l’agenda politica dagli avversari e riducendosi a presentarsi come un surrogato, magari un po’ più affidabile, della destra bossiana e berlusconiana.

Ma adesso si cambia, via il federalismo pasticciato (e pasticciato lo è davvero, con stato, regioni, provincie e comuni messi sullo stesso piano e senza una clausola di supremazia che consenta di scavalcare le competenze locali quando l’interesse nazionale lo richiede): si approda, o almeno ci si prova, a un regionalismo nuovo, forte e bilanciato. Ovviamente, anche in questo caso, in tutta fretta, senza il minimo dibattito e alcuna traccia di dissenso (a parte quello dei malconci leghisti), ché la corsa al carro dei vincitori è già cominciata da un pezzo e nessuno vuole stare dietro.

(In alto: Bossi, al centro, illustra le sue argomentazioni politiche).

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Scritto da Style24.it Unit

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