Delitto di Perugia, Amanda Knox Š un angelo

Mi ero già occupato del delitto di Meredith, della figura di Raffaele Sollecito e di Amanda Knox, di come fossero diventati dei piccoli eroi di una piccola Italia che sbava dietro alle apparizioni, di quella parte di popolazione che poco riflette sul perchè ma molto apprezza il dove (che poi è sempre lo stesso, la tv).

In questi giorni il trio delle meraviglie, Rudy – Amanda – Raffaele, personaggi che ormai non abbiamo nemmeno più bisogno di chiamare per cognome, sono tornati ad occupare gran parte del flusso informativo. Flusso, sì, proprio di questo bisogna parlare, visto che le agenzie di stampa gettano nelle reti informatiche dei quotidiani qualsiasi "cagata" possa riguardare uno dei personaggi coinvolti: notizie, curiosità e aneddoti da gettare in pasto ai lettori più morbosi. "Più"? Diciamo ai lettori morbosi, perchè la verità è che il 90 per cento dei lettori dei quotidiani la pagina dedicata al delitto di Perugia non l'hanno certo girata senza soffermarsi almeno sui sommari.

Non bisogna essere dei geni per capire che Amanda Knox è ormai una star, e nemmeno per capire che la popolarità non si calcola basandosi su una scala di valori positivi o negativi. La si calcola e basta. Rimarrà in carcere, verrà certamente condannata, di lei si sentirà parlare poco tra qualche anno: tornerà agli onori delle cronache solo quando farà qualcosa "alla maniera" di Erika De Nardo.

Però, è bene sottolinearlo, un articolo che utilizza toni come quelli qui sotto – pubblicato sul Corriere, ma di esempi ce ne sono tanti altri in luoghi differenti – è una traccia indelebile nel fatato mondo del giornalismo alla Federico Moccia.

Roba da conservare.

PERUGIA — «Ho sperato troppo, nell'ultimo periodo ho creduto davvero nella possibilità di uscire da qui. Per questo, adesso, soffro in questo modo». Amanda Knox sta male, il giorno dopo la decisione del gup Paolo Micheli di mandarla sotto processo per omicidio e violenza carnale. Rimane cupa tutto il giorno: poi alle nove e mezzo della sera c'è un'altra notizia. La guardia carceraria bussa sulla porta di ferro della cella al secondo piano della prigione, chiama forte il suo nome, le dice ciò che deve. È arrivato un fax dal tribunale: niente arresti domiciliari, Amanda, rimani in cella. «Voglio stare sola con la mia sofferenza» ripete lei fin dalla mattina. Non è facile, in quei pochi metri quadrati da dividere con altre tre, con i letti paralleli, l'unico spazio privato è il bagno, l'unica evasione possibile è il televisore fissato alla parete con un gancio.

Già la notte di martedì, dopo la sentenza, l'ha passata a piangere finché non s'è addormentata, poche ore di sonno, «sì ma quasi niente». Al mattino, volontari e religiosi le fanno coraggio: «Devi essere forte». Ma lei ripete quella frase, alle suore: «Voglio stare sola con la mia sofferenza». E rimane sul letto. Qualcuno cerca di farla sorridere: ma è vero, come dicono i tuoi avvocati, che se fossi stata in America avresti votato per Obama? Lei dice «sì, è dalla parte dei più deboli e noi in famiglia siamo tutti per lui, anche mia mamma». Amanda for Obama, certo: solo che ridere, ecco, lei proprio non può. Pantaloni grigi, maglia rosa, felpa della tuta: alle quattro del pomeriggio accoglie così il deputato del Pd Enrico Gasbarra. Lui sta portando a termine un lavoro sulla carcerazione femminile, oggi Capanne e tra qualche giorno la prigione di Civitavecchia: lei si alza dal letto, saluta, dice poche parole. «Mi scusi, ma sto traducendo una poesia dall'italiano» l'altro si scusa a sua volta e allora lei spiega: «No, è che, vede, leggere poesie è l'unica cosa che mi distrae, oggi. Non ho bisogno di niente, qui va bene, ho la mia famiglia vicina e le ragazze che sono con me, in cella, come me sono quasi tutte alla prima esperienza. Sto bene».

China la testa per aggiungere: «No, non sto bene, oggi… ha capito no?». Torna sul letto, fa ciao con la mano: «Non mi serve niente, davvero». Le pareti sono bianche, neanche un poster o una foto, niente. Una sola finestra sulla parete in fondo, vicino al bagno. Su una sedia ci sono felpe e un paio di mutandine. Una ragazza che è lì prova a fare una battuta: «Io quando ti ho vista la prima volta giravi senza mutande». E lei, senza voltarsi: «Eravate tutte scandalizzate, ma io le avevo finite». Una giornata così, neanche un sorriso. Ha pensieri che l'aiutano, sì: «David, il mio ragazzo, che sta facendo foto in Cina» oppure «i miei genitori, mio papà che… lui sì riesce a farmi ridere». Anche martedì, in quelle undici ore trascorse in tribunale ad aspettare la sentenza, qualche sorriso c'è stato. Parlando con i legali Luciano Ghirga e Carlo Dalla Vedova, Amanda Knox poteva sperare: «Vorrei andare in un ristorante a mangiare un ossobuco, se esco». Invece, adesso, quasi non tocca cibo. Provata, sotto choc, in difficoltà: chi la vede ogni giorno dice che Amanda è sembrata così, oggi. Fin dalla mattina, sotto choc. Poi ecco la sera, le nove e mezzo, la guardia che bussa alla sua cella.

(Articolo tratto dal Corriere)

Scritto da Style24.it Unit

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