Amiche da morire: l’intervista con la regista Giorgia Farina

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Laureatasi in regia e sceneggiatura presso la Columbia University di Milos Forman, vincitrice di un numero sterminato di premi grazie ai molteplici cortometraggi, Giorgia Farina rappresenta quella giovane eccellenza italiana cui nel mondo del cinema ogni tanto viene data, forse persino concessa di malavoglia, l’occasione di approdare al cinema degli adulti.

L’abbiamo contattata per parlare del suo debutto nel lungometraggio con Amiche da morire, film che esce oggi nelle sale e di cui vi abbiamo già anticipato la trama ieri. Si tratta di una commedia dalle tinte noir tutta al femminile, in cui le tre protagoniste Claudia Gerini, Sabrina Impacciatore e Cristiana Capotondi si ritrovano prima per convenienza e poi per vera e reciproca solidarietà a condividere un destino criminale.

Com’è nata la sceneggiatura di Amiche da morire? C’è la volontà di raccontare un argomento raramente toccato dalla cinematografia italiana recente, ovvero l’amicizia femminile?

Ho deciso di scrivere questa storia perché volevo fare una commedia con risvolti noir, dato il mio amore per la contaminazione di generi. Inoltre, scrivere una commedia con tre protagoniste donne è decisamente insolito, soprattutto in Italia.

I ruoli femminili, nelle commedie, sono sempre piuttosto marginali: madri, figlie, fidanzate o, al massimo, amanti. Sempre e comunque contorni colorati messi a supporto di un grande comico.

In Amiche da morire ho costruito una cosa un po’ diversa, ribaltando i ruoli e facendo in modo che le donne fossero le padrone della scena. A dimostrazione che anche il gentil sesso è in grado di far ridere.

Cosa ti ha spinto nella scelta del cast e sopratutto delle protagoniste, tutte e tre caratterizzate da carriere, immaginari e prospettive molto diverse (un’attrice ormai affermata dalla forte carica sensuale, la più giovane, angelica nuova promessa, e un corpo comico relativamente estraneo al cinema)? E come mai contrapporre loro il rude ma affascinante Vinicio Marchioni?

Ho pensato a tre persone che non c’entravano nulla l’una con l’altra e, un po’ egoisticamente, ho scelto attrici che mi stavano simpatiche, dovendo passare sette settimane con loro sul set! Claudia è una donna meravigliosa e schietta; Cristiana era la perfetta Olivia, una capace di uccidere pur mantenendo i modi da principessa, in contrasto tanto con la veracità di Claudia quanto con la comicità straripante di Sabrina.

E poi si trattava di un trio inedito.

Vinicio Marchioni lo avevo molto apprezzato nei ruoli da duro che gli hanno dato il grande successo. Io gli ho proposto un personaggio totalmente agli antipodi, quello di un investigatore di polizia pignolo e maschilista, ma anche un po’ goffo e impacciato con il gentil sesso.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di un set collocato su un’isola? La lavorazione del film ha tratto giovamento dalle forzature imposte da un ambiente ristretto o vi siete trovati davanti a degli imprevisti che vi hanno rallentato? 

In realtà il film è stato girato in Puglia, sulla terraferma.

Resta comunque l’ambientazione dell’isola che era l’unico modo per rendere le protagoniste prigioniere di un piccolo spazio. Avevo anche pensato, in alternativa, alla montagna e al lago, ma da lì avrebbero potuto scappare più agevolmente che da un’isoletta retrograda e circondata da chilometri di mare. In quel luogo si muovono tra anziane pettegole e vecchietti da bar. Utilizzando questi stereotipi ho tentato di far uscire ancor di più il carattere moderno dei tre personaggi
principali. 

Nell’ambito del cinema italiano in che misura è possibile proporre delle nuove idee e quanto invece si deve venire a patti con le limitazioni e le richieste dei produttori e dei (presunti) gusti del grande pubblico? Trovi che ci sia ancora spazio per l’originalità e una visione personale?

Questo non è un bel momento per il cinema italiano.

Però, se fino a qualche tempo fa esisteva un unico stereotipo di commedia, costosa e ’colossale’, forse oggi la crisi offre più spazio per nuove idee che si allontanino dal solito film brillante e che fa ridere. 
Percepisco grande voglia, da parte di attori e produttori, di battere strade diverse.

Se si pensa al mio caso, non è proprio scontato che una regista esordiente abbia a disposizione tre protagoniste così importanti come Gerini, Capotondi e Impacciatore per il suo primo film.

E anche il pubblico, credo che sia un po’ stanco di quello che ha visto sino ad oggi…

Leggendo il tuo curriculum si nota subito che ti sei fatta le ossa con una bella gavetta e poi saltano all’occhio anche la tue molteplici puntate all’estero per delle esperienze molto interessanti. Cosa consigli ai giovani che vogliono intraprendere la difficile carriera di registi? Pensi sia necessario o caldamente raccomandabile rivolgersi verso lidi stranieri per poter concretizzare idee e progetti o ritieni che esistano ancora spazi e modalità nel panorama tricolore?

Sicuramente bisogna studiare, prepararsi ed avere voglia di fare gavetta.

Avere una bella idea non significa avere in mano un bel film: bisogna partire dalla sceneggiatura, scrivere e riscrivere fino all’esaurimento, mettersi sempre in discussione. Sicuramente un passaggio all’estero è consigliato ma questo per chiunque e non solo per i giovani registi.

In America ho imparato la meritocrazia: si può vincere un premio o una borsa di studio solo inviando per email il proprio curriculum senza dover per forza conoscere qualcuno; e che se il talento è unito a tantissima voglia di fare alla fine si arriva dove si vuole…

Foto: Facebook